Una domanda a Gabriele D’Annunzio
Pubblicato il 10 aprile 2010 su “Caffè Letterario di Maria Cristina Brizzi”
in Bologna / Blog del Corriere della Sera
“…Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte; bisogna che la vita di un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.” (da Il Piacere )
Divino Gabriele, tu hai costruito tutta la tua vita come un’opera d’arte, come una vicenda inimitabile. Come hai fatto? Ci riusciresti ancora nel 2010? E come?
Arte è quando l’emozione dei sensi passa da chi l’ha sentita per primo a tutti coloro a cui egli vuole comunicarla. Io sono un grande comunicatore, perché so parlare, perchè ho una voce allusiva e amo giocare con le parole, perché il magma incandescente della mia energia si incanala facilmente nelle strade dell’oratoria.
Io sono, soprattutto, il sacerdote delle emozioni e dei sensi. Io devo palpare il colore di un tramonto, e far sentire a chi mi legge l’umido della rugiada sulle foglie. Devo gustare il sapore metallico del sangue di una mano in cancrena, e farne racconto; e poi allargare le narici per l’odore del sesso femminile o per i miasmi di un foruncolo che porta alla setticemia: e gli olezzi diventano pagine, le pagine raggiungono il pubblico, e l’orrore o l’eccitazione del pubblico mi nutre.
Quando sono stanco di cinque sensi soltanto, allargo le mie percezioni all’intelletto, e ne faccio filosofia. La mia fame di sensazioni non si ferma alle conquiste d’amore, alle sperimentazioni sessuali, al sangue che diventa freddo all’alba prima di un duello, alle corse sulla spiaggia, nudo, in groppa ad un cavallo privo di sella. Sono curioso dei sistemi di pensiero altrui, e quando incontro una stella che danza, quella nietzschiana per intenderci, ecco, chiedo subito di danzare con lei. Anche qui, mi piace possedere: possedere il pensiero altrui e migliorarlo con la mia eccellenza. (“…modesto, io? E’ il solo pregio che mi onoro di non avere..”)
E poi, arte devo offrire a quegli occhi. Vede, quegli occhi a migliaia, come mi guardano? Sono l’Italia del dopo unità, disorientata, afflitta, deprivata. Guardano me perché io sono la speranza di un esistere lontano dalla banalità, dalla miseria, dai problemi della tassa sul macinato. Guardano me e io mi faccio guardare, io volo su Vienna, io marcio su Fiume. Inimitabile, imprevedibile, mascalzone come deve essere un artista.
Ai giorni vostri, mi chiedi. Nel 2010. Forse sarebbe ancora più facile per uno come me costruire la vita come un’opera d’arte. Perché le migliaia di occhi sembrano ancor più disorientate. Credete di amare la bellezza e invece spesso amate solo quel che vedete nelle vetrine o in quelle vostre scatole inquietanti che vi raccontano storie e vi mostrano tutto. Come fate a guardare soltanto, senza sentire gli odori, senza toccare la consistenza dei corpi che passano sullo schermo? Quel filtro catodico frena ogni flusso di energia. Come rapirei facilmente i vostri cuori! Basterebbe raccontarvi una storia che non avete mai sentito. Anneghereste nelle mie parole, e pensereste… tutto in lui è arte.