La dea dell’amore

Pubblicato il 3 maggio 2010 su “Caffè Letterario di Maria Cristina Brizzi”
in Bologna / Blog del Corriere della Sera

Il percorso parte da Saffo. Sicuramente molti sanno che Saffo è una poetessa, che scrive d’amore e che affascinò tutti i poeti che vennero dopo, da Catullo a Leopardi, perché come parla dell’amore lei non lo riesce a far nessuno, perché le sensazioni che descrive le proviamo tutti –qualche volta, almeno -, ma nessuno le sa esprimere così.

Eros mi scuote, di nuovo, Eros, che rende molli le ginocchia,
animale strisciante, dolceamaro, contro cui non posso combattere…

Chi è la donna che sa parlare di Eros con tanta efficacia, con tanta sfrontatezza? Chi è questa Saffo dell’isola di Lesbo, che tutti conoscono più per la curiosità sui suoi gusti sessuali che per la sua vera storia?
Saffo –vive a Lesbo nel VII secolo avanti Cristo- è la direttrice di un collegio. Direttrice di un collegio: ci viene in mente una donna arcigna, magra, zitellona, con occhiali e chignon e gonna grigia, dita ossute e labbra sottili, che bacchetta le alunne e le vuole disciplinate e silenziose, grigie come lei. Del resto, un collegio per noi è un luogo a metà tra una scuola e un prigione, lo colleghiamo a qualcosa di punitivo: ‘…Sono stato bocciato e mi hanno messo in collegio!’
Il collegio di Saffo è tutt’altra cosa. Loro lo chiamavano ‘Tìaso’, ed era, sì, un luogo dove le fanciulle di buona famiglia venivano educate e preparate alla vita matrimoniale dell’alta società del tempo: imparavano a cantare, si acculturavano, ma soprattutto imparavano uno stile, erano educate all’eleganza: dobbiamo immaginarle nelle lezioni in cui, oltre alla musica e al ballo, acquisivano capacità nello scegliere e drappeggiare le vesti, nel muovere il corpo in modo armonico ed allo stesso tempo discreto; nel modulare la voce, bassa e significativa nelle conversazioni, dolce e coinvolgente nel canto e nella poesia.
L’educazione, per i Greci –maschi e femmine- era morale e fisica allo stesso tempo: la persona di valore era quella che nelle movenze del corpo rivelava l’armonia interiore, la sicurezza e la padronanza delle situazioni. La donna dell’alta società –ed attenzione, la promesse spose del tìaso di Saffo erano destinate alla dorata vita delle regge e dei palazzi dell’Asia Minore, all’epoca non plus ultra della raffinatezza e del lusso, molto più che i ginecei delle case ateniesi o la vita, appunto, spartana delle comunità del Peloponneso – doveva prepararsi ad una sorta di eccellenza psicofisica.
Le alunne del collegio di Lesbo quindi passavano le giornate tra danze, ghirlande di fiori, bagni profumati; si trovavano per recitare o comporre poesie, ma sempre con la massima attenzione allo splendore della pelle, all’acconciatura, alle movenze morbide ed armoniose nelle varie situazioni.
Una sorta di college con beauty farm annessa; una vera e propria scuola di bellezza per una civiltà che coniugava magistralmente la bellezza intellettuale e la superiorità culturale alla grazia e all’eleganza del corpo.
E poi un collegio religioso. Ma non, naturalmente, un convento. Il culto che vi si celebrava da mattina a sera era quello della bellezza, della grazia, dell’amore anche. E la dea che veneravano, naturalmente, era Afrodite.

Afrodite, la dea dell’amore. La bionda signora dai bei seni, Afrodite d’oro, Afrodite ridente; una dea benevola e dolcissima che riempiva la vita delle ragazze con il culto a lei dedicato. E la direttrice, la maestra, il coach, la musa assoluta delle danze e dei riti era Saffo, Saffo la piccola, la graziosa signora dai capelli sfumati di viola.

La tradizione romantica ed il carme di Giacomo Leopardi ci presentano Saffo come una racchiona senza speranza innamorata e naturalmente non corrisposta dal giovane Faone:

Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
A la misera Saffo i Numi e l’empia
Sorte non fenno…
(da Ultimo canto di Saffo)

Certo il povero Giacomo si riconosceva facilmente in una poetessa così. Ma accolse una leggenda non veritiera (forse per un pregiudizio cattolico?)
Saffo per ricoprire il suo ruolo non poteva che essere una donna affascinante, appassionata, carismatica, capace di comunicare con le sue alunne, di arricchirle col suo sapere e col suo stile.

E fulcro delle conversazioni tra le ragazze era – come sempre- l’amore. Saffo, poi, si sa –è da quando è iniziata la serata che ve l’aspettate- si innamorava sempre di qualcuna delle sue ragazze.

A questo punto, una piccola digressione sull’omosessualità nel mondo greco. La nostra storia e la nostra cultura – che, ci piaccia o no, affonda le radici nel cattolicesimo, perché cattolico è il nostro inconscio collettivo, figlio di secoli di pensiero religioso- fatica comunque a pensare senza almeno un sorrisetto malizioso al mondo di Saffo e delle sue ragazze, come al mondo di Socrate e dei suoi giovani amici; ma l’amore omosessuale in Grecia non era vissuto come una perversione, anzi Platone distingueva tra Venere Celeste –quella dell’amore omosessuale- e Venere dei marinai –l’amore ‘etero’-

Quindi, Saffo si innamorava continuamente delle sue fanciulle. E qualche volta, come capita a tutte e a tutti, non era ricambiata.
Ci resta un capolavoro della grande poetessa, ed è appunto l’Inno ad Afrodite, una preghiera che vuole celebrare la dea ed allo stesso tempo affidarsi ad essa.
Vediamo innanzitutto la descrizione, sorprendente, della Dea dell’amore:

Afrodite immortale dal trono variopinto
Figlia di Zeus, tessitrice di inganni…

Il trono variopinto è un’intuizione geniale: nei mille colori del trono della dea individuiamo le mille sfaccettature della passione d’amore, i mille giochi dell’erotismo, l’arcobaleno di sensazioni che proviamo tutti quando siamo travolti dal desiderio; e la tela di inganni, a sua volta, è nostro patrimonio comune: inganni ad un partner troppo geloso per vivere in pace una scappatella, inganni al nostro oggetto del desiderio, quando con ogni mezzo vogliamo conquistarlo; inganni anche a noi stessi, e sono i più frequenti, quando ce la raccontiamo “..se non telefona è perché è troppo impegnato, si vergogna, sta male..” Dietro alla miriade di inganni ed autoinganni dell’amore, c’è ancora sempre lei, Afrodite con la sua tela.

Dopo l’invocazione, la preghiera dell’anima sofferente d’amore; e poi l’apparizione, l’epifania della dea: che è una dea complice, birichina, battagliera; essa garantisce a Saffo non solo la sua collaborazione, ma addirittura il risultato; si fa compagna di strategie, generale delle truppe della battaglia dell’innamoramento.

Inno ad Afrodite

O Afrodite immortale dal trono variopinto
Figlia di Zeus, tessitrice di inganni, ti prego,
non  piegarmi, con tormenti ed angosce,
il cuore, o Signora,
vieni qui, se mai altre volte
sentendo le mie grida da lontano
mi ascoltasti, lasciando la casa del Padre
sei giunta, aggiogando il tuo cocchio d’oro: belli, ti portavano
passerotti veloci sulla nera terra
battendo rapide le ali giù,
attraversando il cielo;
subito giunsero, e tu, o beata,
sorridendo nel volto immortale
chiedevi perché soffrivo e perché
chiamavo
e che cosa volevo vivere
nel mio animo senza pace: “chi ancora devo convincere
all’amore per te? Chi,
o Saffo, ti fa torto?
Perché se fugge, presto ti inseguirà,
se non accetta doni, ma te ne farà,
se non è innamorata, presto ti amerà
anche se non vuole.”
Vieni da me anche adesso, da questa dura angoscia
liberami, e quel che il mio cuore
desidera compiuto, compilo, tu,
sii ancora mia alleata.

(FR. 1 V., traduz. M. C. Brizzi)