Il vino e le sue suggestioni
in Bologna / Blog del Corriere della Sera
La nostra civiltà, occidentale e mediterranea, affonda sempre le radici nei poemi omerici. Da Omero, dunque, si vuole partire, per una passeggiata dedicata al vino.
Omero, in realtà, non è mai esistito: ma a noi piace immaginarcelo come un poeta cieco, che cantava dando alla società antica un codice etico, religioso, comportamentale; e fornendo le basi della cultura letteraria occidentale.
Omero, in realtà, non è mai esistito: ma, se fosse stato un personaggio reale, sarebbe stato un cantore che ci vedeva poco ed aveva una gran bella voce.
E, sicuramente, sarebbe stato un grande estimatore del vino.
Ce lo rivela il suo modo di definire il mare: egli parla sempre del “mare color del vino” (riferendosi al blu violaceo dei flutti). Il mare è un elemento fondamentale per la civiltà greca:compagno di vita, necessario e minaccioso allo stesso tempo. Grazie al mare, i Greci commerciavano, allargavano i propri orizzonti, esportavano la loro civiltà; ma nel mare le loro navi naufragavano.
Il mare, con le sue strade di civiltà e di morte, aveva lo stesso volto del vino (“oinopa ponton”: “oinos” è il termine greco per “vino”, da cui “oinotheke” cioè enoteca, “oinologhìa” cioè enologia)
Già Omero, dunque, vedeva nel vino la civiltà ed il pericolo. Ulisse, nelle sue peregrinazioni, si trova a contatto con popoli sconosciuti, con re stranieri. Costantemente, il suo modo di avvicinarsi a loro è con la libagione. Ulisse ha la meglio sul Ciclope proprio grazie al vino: egli ubriaca Polifemo con la divina bevanda e poi, mentre dorme, lo acceca. Ma il vino non è soltanto un escamotage: è il simbolo della civiltà contrapposto al mondo di brutalità e violenza del Ciclope.
Il vino ha senz’altro, dunque, valenza civilizzatrice; ma ha anche un profondo significato religioso. Gli antichi celebravano Dioniso, comunemente detto anche Bacco: una divinità oscura, prepotente, avvolgente; il dio dell’eccesso, della passione, di tutto ciò che esula dalle strutture razionali. Il dio di quei sentimenti profondi e disordinati che solo l’ebbrezza sa portare in superficie.
Anche l’altro, grande pilastro della nostra identità culturale e filosofica, il Cristianesimo, concede al vino un ruolo fondamentale: quello della transustanziazione del sangue di Cristo.
Filosofi e poeti individuano tre fondamentali funzioni del bere vino:
il vino per stare insieme e cacciare la malinconia,
il vino per amare, ingannare o dimenticare un amore
il vino per farsi coraggio in guerra.
Per la prima funzione, già Platone dedica alla bevanda le prime righe del Simposio (anche il titolo Simposio, tra l’altro, significa “ritrovarsi a bere insieme”): il filosofo raccomanda di bere in modo moderato, ricordando che, se gustato a piccoli sorsi, il bicchiere di rosso è il collante fondamentale per ogni riflessione sull’esistenza.
Alceo, poeta lirico greco del VI secolo a.C., ci ammonisce così:
E noi beviamo!
Cosa stiamo ad aspettare le lucerne, che c’è ancora un dito di luce!
Dài, giovane, tira giù i bicchieri grandi, quelli belli colorati!
Bacco, figlio di Zeus, ce l’ha dato, il vino
che ti nasconde il dolore. Dài, bicchieri pieni fino all’orlo
e uno dietro l’altro…
No, no, non si deve abbandonarsi a pensieri dolorosi
non otteniamo nulla a starci male
amico mio, molto meglio farsi portare del vino
e ubriacarsi!
Viene da lontano il desiderio di vedere il sole tramontare mentre prendiamo un aperitivo con gli amici: il giorno, e la vita, se ne vanno; il vino rende meno doloroso e più dolce il pensiero del nostro essere transitori, effimeri, di passaggio. Tutto passa, il sole tramonta, la vita scivola via. In fondo, non è soltanto un pensiero triste: è proprio la nostra natura di esseri mortali a renderci importanti, a promuoverci guerrieri, a fare di ogni evento e di ogni persona qualcosa di unico e irripetibile.
Questa vertigine di precarietà, tipica dell’età augustea, si ritrova in Orazio, il famosissimo poeta del “carpe diem”:
Tu non chiederti, chè non si può saperlo, qual è l’ultimo giorno
che hanno fissato a me, che hanno fissato a te gli dei, Leuconoe cara,
e non andare a farti leggere i tarocchi!! -lui li chiama ‘cabale babilonesi’, ma sono la stessa cosa!!-
Non è meglio, qualunque cosa sarà, viverla?
Che Giove ti abbia concesso ancora tanti inverni
o che sia l’ultimo per te questo che fiacca il mar Tirreno
sulle scogliere di fronte
sii saggia, versati del vino e taglia in un tempo breve
una speranza che guarda lontano. Guarda, mentre stiamo parlando
le ore, crudeli, sono già scappate via: prenditi il giorno a morsi
e non credere mai al domani.