Kalokagathia
Pubblicato il 10 aprile 2010 su “Caffè Letterario di Maria Cristina Brizzi”
in Bologna / Blog del Corriere della Sera
“Kalòs kài agathòs”, in greco antico, significa più o meno “bello e buono”. L’eroe omerico era, sempre e comunque, “kalòs kài agathòs” ; vale dunque la pena chiedersi cosa significasse questa formula, come facesse il violento Agamennone a risultare tanto “buono”, e secondo quali canoni estetici fossero tanto belli i guerrieri achei.
Kalòs, s’è detto, vuol dire bello; ma l’uomo “kalòs” è l’uomo nobile, e già questo ci aiuta a comprendere meglio come mai tutti i capi che combattevano presso Troia venissero definiti così. Nell’aggettivo si evoca l’idea di un uomo privilegiato, che è nato da una famiglia altolocata ed ha ricevuto una perfetta educazione; fin da ragazzo l’uomo “kalòs” si esercita nella lotta ed educa il suo corpo all’eccellenza; impara a correre, a calibrare le forze, a controllare la potenza muscolare, a colpire con precisione ed efficacia. Ore ed ore di esercizi quotidiani rendono il suo corpo armonioso e scattante; i suoi movimenti eleganti ne rivelano l’agilità ed allo stesso tempo la straordinaria forza. Egli è ben nutrito, ma capace di resistere in condizioni molto dure; basta vederlo camminare, disinvolto e perfetto nella costosa armatura, per intuire la sua superiorità; i muscoli guizzanti sembrano fremere, le braccia vigorose rivelano la potenziale forza distruttrice.
L’educazione dell’uomo “kalòs” è completa; egli ha passato anni a rendere il suo corpo una perfetta macchina da guerra, ma non ha trascurato la sua mente. Fin dalle origini la civiltà greca attribuisce fondamentale importanza al “lògos”, ossia al pensiero che si traduce in parola: l’eroe omerico è un uomo che sa parlare, sa proporsi, sa perorare la sua causa. Centinaia di uomini gli sono al seguito, ed egli deve saperli guidare, abituarsi ad esser guardato e preso ad esempio; nella assemblee, la voce non deve tremargli, gli occhi devono essere espressivi, non può balbettare (non a caso i Greci hanno sempre definito gli stranieri “balbuzienti”, ossia “bàrbaroi” –barbari), e le sue parole devono essere appropriate, convincenti, ben articolate.
L’aggettivo “agathòs” è forse ancor più articolato nella sua gamma di significati, e comprende in sé tutta una serie di valori fondamentali per la grecità arcaica. ”Agathòs” è innanzitutto l’uomo coraggioso, che non indietreggia davanti al pericolo, capace di affrontare qualsiasi situazione. L’eroe omerico, tra la morte e una fine ingloriosa, non ha dubbi; sa che la vita è comunque destinata a finire, spera (forse a buona ragione…!) che il ricordo del suo valore rimarrà immortale. Egli è sicuro di sé, delle sue idee, della causa per cui lotta; è agathòs perché è rispettabile, valoroso, capace. Che poi non sia “buono” nel senso cristiano del termine, è irrilevante: un uomo agathòs può essere prepotente, arrogante, egoista e, se occorre, scaltro fino all’inganno (pensate a Odisseo); questo non sminuisce minimamente quelle doti di capopopolo che l’hanno portato alla sua posizione di eccellenza.
Non è finita. I due aggettivi, che adesso per voi non hanno più segreti, sono uniti: non a caso si parla di “kalokagathìa” ,con un unico termine. Anche questo ha un significato, forse il più interessante.
La bellezza e la forza d’animo dell’eroe omerico hanno origine anche e soprattutto dall’armonia e dall’equilibrio interiore. Achille sa mettere il corpo al servizio della mente e, viceversa, sa far ubbidire il cervello alle esigenze fisiche; qui sta la sua dote più grande. Nell’uomo kalòs kai agathòs corpo e mente collaborano, perché egli ha superato i conflitti interiori; le movenze ne rivelano la sicurezza, la padronanza di sé, la serenità. Nulla può spaventare un uomo simile, che compendia in sé una serie di realtà positive di cui si fa portavoce fiero ed incrollabile. Ha trovato le risposte, non nasconde pensieri contorti, è un uomo solido e affidabile, lo si vede dalle spalle larghe e dal modo di scrollarle: vicino a lui non può accadere nulla di spiacevole.
E adesso chiedetevi: com’è, per noi uomini del ventunesimo secolo, un eroe?
La prima immagine di eroe che può venire in mente, ahimè, è quella proposta da Hollywood: alzi la mano chi non ha pensato ai vari personaggi interpretati da Bruce Willis, Harrison Ford, Keanu Reeves e via discorrendo. Bene, confrontiamoli con il nostro kalòs kai agathòs: cos’è cambiato?
Guardiamo gli eroi del nostro tempo, consideriamo il sistema di valori a cui rimandano i loro comportamenti: sono anch’essi “kaloi” nella stessa accezione di Omero, uomini fisicamente prestanti perché si sono allenati in palestra, abituati ad un’attenzione quasi maniacale per la fisicità, persone dal corpo reattivo e potente, vestiti con cura e miracolosamente eleganti anche dopo un folle inseguimento nel deserto. Non è la bellezza dei tratti che li rende così piacevoli, ma la sicurezza dei movimenti, la disinvoltura dei gesti, la capacità fisica di affrontare ogni situazione. Ancora, essi sono “nobili” nel senso moderno e postromantico del termine: hanno studiato, girato il mondo, fatto ogni tipo di esperienza; sono implacabili con i “cattivi”, ma sempre gentili, addirittura galanti con le belle donne, che non mancano mai al loro fianco (pensate ai tanti 007 che ci hanno dilettato con le loro prodezze.)
Anche gli eroi del nostro tempo sono, indubbiamente, agathoi. Il coraggio spinto all’estremo è la loro caratteristica costante: possono entrare in un grattacielo in fiamme, salire su un boeing in partenza attaccandosi alle ruote del carrello, affrontare impavidi e disarmati bande intere di delinquenti provvisti di mitra: non hanno paura di morire (del resto, non muoiono quasi mai: in ciò Omero era più realistico, i suoi eroi ogni tanto cadevano sul campo.) Ritroviamo in loro, poi, la stessa incrollabile convinzione di essere al servizio del “bene”: combattono per una giusta causa, e questo è tutto.
Insomma, anche gli eroi di oggi sono invariabilmente “kalokagathòi”. Si può dire di più: sono tali gli uomini più affascinanti e desiderabili, forse proprio per quella armonia interiore che contraddistingueva Achille e continua a dividere la società in vincenti (rari, purtroppo) e perdenti. Il nostro mondo occidentale desidera quell’equilibrio, quella risoluzione dei conflitti che fu dell’eroe omerico; per vincere le battaglie contro l’universo esterno bisogna risolvere innanzitutto le tensioni dell’anima. Chi è pieno di problemi, chi si piange addosso, chi si guarda dentro con orrore alla fine non si piacerà nemmeno allo specchio, non saprà proporsi, non avrà successo; pensateci bene, guardatevi intorno: anche tra voi distinguete tra kalokagathoi e sfigati.