Caro Alcibiade
Pubblicato il 1 marzo 2013 su “Caffè Letterario di Maria Cristina Brizzi”
in Bologna / Blog del Corriere della Sera
Caro Alcibiade,
è da un po’ che da quassù guardo le vicende delle nostre genti, e piango per il destino della nostra bella terra ellenica, che da teatro di agoni tragici è divenuta teatro di rivolta di popolo, sempre a causa del solito problema delle dracme – anche se adesso, hai saputo? Le dracme non ci sono più; le monete si chiamano euro, e le usano tutti, Greci e Barbari indistintamente.
Negli ultimi giorni, straziato dalla preoccupazione per il nostro popolo, ho girato lo sguardo ad occidente, su quella terra che già ai tempi nostri prometteva grandi cose, quella che allora era abitata dai Romani, ed ora si chiama Italia.
Anche i discendenti dei Romani sono davvero caduti in basso!
Certo, quel che Clistene, io, te e tanti altri abbiamo inventato, quel miracolo di forma politica dove non c’è un sovrano a comandare, ma tanti uomini che discutono, quella democrazia che spiaceva tanto al nostro nemico persiano, esiste ancora. Ma che degenerazioni si è portata dietro!
Alcibiade mio, mai avrei creduto che gli arconti –loro li chiamano ministri- potessero dimostrarsi così egoisti, così bramosi di potere e denaro; e scandalosi poi, nella loro condotta, tanto che nessuno viene ostracizzato per le porcherie che fa, e ti garantisco che fanno ben peggio che mutilare erme!
Democrazia, dicevo: noi l’abbiamo creata, i Romani l’hanno perfezionata molto: cariche collegiali, temporanee, gratuite, responsabili. Che trovate splendide! Capisci, la res publica romana prevedeva che a governare fossero almeno in due –così uno poteva moderare l’altro-, sempre per un periodo definito –così, alla peggio si stava male per un paio d’anni- . E poi gratuite! Vuol dire che i governanti prendevano lo stesso stipendio che avevano prima di salire in carica, non un sesterzio di più. E responsabili! Chi era al potere rispondeva personalmente delle proprie iniziative, e poteva anche finire in esilio, se le sue decisioni danneggiavano la popolazione.
Ma cosa è successo ai discendenti dei Romani?
Le cariche, altrochè gratuite, sono strapagate; addirittura, tanti fanno politica per gli stipendi d’oro che toccano a chi siede nelle loro Assemblee. Quanto alla responsabilità, mi dicono che si fa l’esatto contrario: c’è una cosiddetta “immunità parlamentare” che prevede che un uomo che ricopre una carica politica non debba rispondere davanti alla legge, neanche per i suoi reati privati!
Alcibiade, ma cosa sta accadendo?
E poi, Alcibiade, l’informazione… ti ricordi il nostro teatro, dove andavamo a riflettere sulle nostre scelte politiche o sociali mentre assistevamo al dramma? Ti ricordi della nostra agorà, dove discutevamo insieme, magari prendendoci a male parole, ma guardandoci in faccia? E così i Romani nel Foro, così i consoli e i tribuni che parlavano dai rostri…
Adesso no, mio caro. La politica sta quasi tutta dentro strane scatole magiche. Sono delle specie di finestre luminose – e che luce fredda hanno!- e la gente non ci va più, in piazza, per le strade, nei portici e nelle basiliche, a parlare. Se ne stanno davanti alla scatola, muti, e se parlano, lo fanno con un vetro che non li ascolta. I candidati parlano dalla scatola, le domande e le proposte le fa sempre qualcuno che non sei tu. Quando entrano in carica, Alcibiade, sanno di essere dietro quella scatola; non si vergognano di guardarti negli occhi quando agiscono male, perché non gli capita mai di guardarti negli occhi; anzi, una volta entrati nel Parlamento e dentro la scatola luminosa, si dimenticano proprio di quel che vuol dire appartenere al popolo: non è più affar loro. Non ci girano, nelle piazze, tra la gente: e la loro politica è lontana, avulsa dal quotidiano affannarsi dei cittadini, al riparo dietro il vetro luminoso.
Ma sai che ti dico, nipote caro? Ho osservato un fenomeno nuovo, pochi giorni fa. C’è un agitatore di popolo che non ti parla dalla scatola. C’è questo strano tipo, mi sembra una specie di Diogene cinico, quello che ridacchiava in faccia ad Alessandro Magno. Beh, mi sembra proprio che questo sia sceso in mezzo alla gente. Sarà un illuso, sarà forse simile ai nostri demagoghi, non lo so: fatto sta che a quella logica della scatola luminosa ha opposto una politica tornata in piazza. La mia agorà, Alcibiade, il Foro per i Romani… chissà se torneranno in piazza, tutti, a guardarsi negli occhi mentre discutono.
Per ora, ho visto che il Diogene cinico d’Italia è entrato nelle loro Assemblee… e anche qui, un fenomeno strano. Sai che i Romani avevano quelle figure sacre dette “tribuni della plebe”? Tiberio Gracco, per esempio. Il tribuno era l’uomo del popolo, quello eletto dalla gente comune per dar voce ai plebei. I tribuni erano potentissimi, comunque: e questo grazie allo ius intercessionis, il “diritto di veto”: qualsiasi legge proponesse il senato, il tribuno poteva fermarla grazie al diritto di veto.
Ecco, gli Italiani adesso hanno un tribuno della plebe… speriamo che non finisca come Tiberio Gracco.
Ciao, Alcibiade, rispondimi presto
Tuo zio Pericle